Un anno, e ancora

Era il 6 maggio dell’anno scorso quando Pippo Civati, salutando, lasciò il Pd. Non fu una scissione di corrente organizzata, semplicemente perché non lo era, ma l’inizio di un percorso in cui molti si sono ritrovati a condividere un impegno che, da lì a poco, sarebbe diventato Possibile, il nuovo soggetto politico che abbiamo iniziato e stiamo continuando a costruire.

Era il 6 mag­gio dell’anno scor­so quan­do Pip­po Civa­ti, salu­tan­do, lasciò il Pd. Non fu una scis­sio­ne di cor­ren­te orga­niz­za­ta, sem­pli­ce­men­te per­ché non lo era, ma l’inizio di un per­cor­so in cui mol­ti si sono ritro­va­ti a con­di­vi­de­re un impe­gno che, da lì a poco, sareb­be diven­ta­to Pos­si­bi­le, il nuo­vo sog­get­to poli­ti­co che abbia­mo ini­zia­to e stia­mo con­ti­nuan­do a costruire.

I moti­vi di quel­la sepa­ra­zio­ne sono tan­ti e più vol­te ricor­da­ti: in estre­ma sin­te­si, val­ga il ragio­na­men­to per cui non si pote­va più sta­re in un par­ti­to che, per le cose che appro­va­va, soste­ne­va e vole­va, avrem­mo avu­to dif­fi­col­tà a votar­lo, dall’abolizione del­le tute­le con­tro i licen­zia­men­ti ille­git­ti­mi al “deman­sio­na­men­to”, dall’infinita ripe­ti­zio­ne del­la logi­ca del­le gran­di ope­re al rin­no­vi ad libi­tum del­le con­ces­sio­ni per le tri­vel­la­zio­ni e le ricer­che petro­li­fe­re, fino al con­fe­ri­men­to del pote­re di chia­ma­ta diret­ta al pre­si­de-mana­ger e a una leg­ge elet­to­ra­le con tan­to di capi­li­sta bloc­ca­ti e super­pre­mio di bal­lot­tag­gio, con­tra­ria a quel­lo che si dice­va in ter­mi­ni di rap­pre­sen­tan­za, par­te­ci­pa­zio­ne e scel­ta dei cit­ta­di­ni, e appro­va­ta con il ricor­so alla fidu­cia, come non si vede­va dai tem­pi del­la “leg­ge truffa”.

Su que­sti temi, appe­na nati, ver­reb­be da dire, abbia­mo lan­cia­to una cam­pa­gna refe­ren­da­ria con l’obiettivo di cor­reg­ge­re alcu­ne stor­tu­re. In tan­ti fra i cit­ta­di­ni han­no fir­ma­to, in pochi, fra for­ze poli­ti­che e orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li, han­no ade­ri­to; le stes­se che oggi pro­pon­go­no refe­ren­dum socia­li sui mede­si­mi argo­men­ti. Aven­do il nostro appog­gio e la nostra con­di­vi­sio­ne, sia chia­ro: ma se si fos­se­ro posti accan­to a noi lo scor­so anno, ora sta­rem­mo per vota­re su quei quesiti.

E c’è poi la que­stio­ne non ulti­ma del­la rifor­ma costi­tu­zio­na­le fat­ta cal­can­do la mano sul trat­to gover­ni­sta, abo­len­do non il Sena­to ma la facol­tà dei cit­ta­di­ni di eleg­ge­re i sena­to­ri, e lascian­do all’unica Came­ra elet­ta con l’Ita­li­cum e le sue brut­tu­re la que­stio­ne del­la fidu­cia al gover­no. Qui il refe­ren­dum ci sarà e noi vote­re­mo “no”, per­ché non solo non ne con­di­vi­dia­mo il per­cor­so, ne respin­gia­mo la sostan­za e sap­pia­mo che non appro­van­do­la non si fer­me­rà alcun cam­bia­men­to, che nei fat­ti e nel­le cose, come nei nomi e nei vol­ti, non è mai ini­zia­to, se non in sen­so restau­ra­ti­vo.

Così sia­mo usci­ti allo­ra e con­ti­nuia­mo a cam­mi­na­re in stra­da ades­so: per­ché c’è tut­to un mon­do fuo­ri da dove alcu­ni pen­sa­no si fac­cia la poli­ti­ca, e noi pro­prio lì voglia­mo far­la. Incon­tran­do quel­li che vor­ran­no sta­re insie­me, come con­fron­tan­do­ci con chi la pen­sa diver­sa­men­te. Sen­za i toni del­la ris­sa e le deri­sio­ni con alle­go­rie da car­to­ni ani­ma­ti, ma con­vin­ti di dover fug­gi­re la dit­ta­tu­ra del­la neces­si­tà ricer­can­do il possibile.

Alme­no quel che ser­va a non soffocare.

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