[vc_row][vc_column][vc_column_text]Da tre mesi prosegue la dura battaglia di un gruppo di lavoratori minacciati di licenziamento da parte delle cooperative appaltatrici che forniscono manodopera alla Castelfrigo, un’azienda del “distretto delle carni” con sede a Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena.
Dopo anni di vero e proprio sfruttamento, gli episodi portati all’attenzione del pubblico grazie al costante lavoro di denuncia della FLAI-CGIL si sono dimostrati di una tale gravità da far parlare di “nuovo caporalato”. Si parla di turni di lavoro di 12–13 ore, con mezz’ora di pausa talvolta da recuperare nella stessa giornata di lavoro; minacce e sospensioni dal lavoro per chi si allontana dal nastro che trasporta i pezzi di carne da lavorare, anche solo per andare in bagno; licenziamento per chi si oppone alle indegne condizioni di lavoro, magari con l’appoggio di un sindacato.
I lavoratori delle cooperative sono tutti stranieri, ghanesi, albanesi e cinesi; alcuni non parlano italiano, ma tutti sono accomunati dalla necessità di lavorare per mantenere la propria famiglia e, per alcuni, ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi lavorativi. Questo ha consentito ai caporali di sfruttare il proprio potere di ricatto nei confronti dei lavoratori, alcuni dei quali sono ancora oggi disposti a proseguire il proprio lavoro in condizioni di sfruttamento: questo porta a situazioni di attrito fra chi continua l’attività nello stabilimento e chi ha deciso di opporsi a questo sistema.
Non è sufficiente tuttavia parlare degli episodi di sfruttamento sul luogo di lavoro. Un nodo centrale di questa vicenda è la presenza delle cooperative appaltatrici, diffusa in tutto il “distretto delle carni”: si tratta di cooperative spurie, cioè prive delle caratteristiche tipiche di una cooperativa (come il mutualismo e le forme di individuazione democratica delle cariche sociali). I lavoratori che prestano la propria attività in tali aziende tramite contratto d’appalto sono soci della cooperativa, ma non conoscono il presidente della cooperativa, né sono invitati alle assemblee sociali. È accaduto che uno dei soci lavoratori di una cooperativa fosse, a sua insaputa, il presidente della cooperativa stessa; in un altro caso un socio lavoratore è stato obbligato ad assumere l’incarico di presidente per ottenere il posto di lavoro.
L’impiego della forma della cooperativa spuria è “utile” a questo sistema (perché di sistema si tratta) per diversi motivi. In primo luogo, a fronte di un costo medio di 25€/ora per un dipendente diretto dell’azienda, il lavoratore della cooperativa costa attorno ai 13,5€/ora, ad esempio grazie all’applicazione del CCNL del facchinaggio e, talora, alla rinuncia espressa di diritti quali le ferie pagate.
A questo si aggiunge il fatto che, delle ore effettive di lavoro, solo otto vengono retribuite come tali ai lavoratori: le restanti possono comparire in busta paga sotto forma di “rimborsi” o “trasferte”, in modo da ridurre la base imponibile (in altri casi ci si avvale di doppi bonifici, per separare la retribuzione dichiarata dal nero). Più volte in passato si è verificato che, in fase di accertamento delle irregolarità nel versamento delle tasse e dei contributi, le cooperative abbiano dichiarato fallimento, facendo ricadere sui soci lavoratori il peso delle cartelle esattoriali inviate al termine degli accertamenti.
Altro elemento del sistema è il metodo ormai rodato di evasione dell’IVA: l’azienda committente scarica l’IVA sul consorzio a cui appartengono le cooperative che forniscono manodopera; il consorzio scarica a sua volta l’IVA sulle cooperative stesse, che poi falliscono dopo due o tre anni senza versare allo Stato quanto dovuto.
Si pone evidentemente un problema di concorrenza sleale ai danni delle imprese che rispettano le leggi, oltre che a scapito dei lavoratori sfruttati e successivamente colpiti dalle cartelle esattoriali.
Non c’è da meravigliarsi se, dopo la minaccia di licenziamento ricevuta prima da 75, poi da 127 lavoratori delle cooperative operanti all’interno della Castelfrigo, una buona parte di questi ha indetto uno sciopero a oltranza chiedendo il rispetto dei propri diritti e il ripristino delle elementari condizioni di legalità all’interno dell’azienda. Sono stati organizzati presidi in molti luoghi, in particolare davanti alla Camera dei Deputati (dove una delegazione è stata ricevuta dal Presidente della Commissione Lavoro), all’Assemblea Regionale della Regione Emilia-Romagna e alla sede di Confindustria (che non ha ancora espresso un giudizio definitivo sulla vicenda), oltre al presidio permanente davanti allo stabilimento della Castelfrigo a Castelnuovo Rangone; sono state inviate anche lettere agli ambasciatori dei Paesi d’origine dei lavoratori.
Nel frattempo un impegno formale per monitorare la situazione è stato assunto dalla Regione, che ha contattato la Procura di Modena e incaricato un legale di portare avanti eventuali azioni con la Magistratura.
È evidentemente elevatissimo il rischio di infiltrazioni mafiose in un sistema di questo tipo. D’altra parte, come dichiara Umberto Franciosi, segretario generale FLAI-CGIL Emilia-Romagna, “non possiamo fare a meno di denunciare una inefficace azione di controllo dovuta non solo alla carenza d’organico e di mezzi, ma probabilmente anche ad una precisa volontà politica di non voler risolvere davvero la questione”. L’attività di denuncia e di difesa dei diritti dei lavoratori da parte del sindacato prosegue infatti da oltre 16 anni, ma pochissimi sono stati i casi in cui la giustizia ha individuato e punito i responsabili.
La dura battaglia dei lavoratori si è inasprita negli ultimi giorni, quando tre lavoratori in sciopero hanno iniziato lo sciopero della fame assieme al segretario generale FLAI-CGIL di Modena. È uno sciopero della fame per chiedere il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e una condanna del sistema che, nel distretto delle carni, ingloba non solo le finte cooperative, ma anche le stesse aziende come Castelfrigo: se tutte le forze politiche e sociali hanno individuato come responsabili le false cooperative, manca una voce unanime sul ruolo dei committenti nel difendere la legalità negli appalti, i diritti dei lavoratori e il rispetto della legge.
Assieme a Liberi e Uguali siamo al fianco dei lavoratori in sciopero. Chiediamo con forza una soluzione a questa vertenza e ci attiveremo affinché gli organi di controllo compiano tutte le verifiche del caso per individuare i responsabili di questa situazione a dir poco indegna del sistema produttivo del nostro Paese.
Alla luce di questa vicenda risulta evidente, sul piano legislativo, la necessità di una revisione della normativa sugli appalti: occorre impedire l’affidamento in appalto di attività non strumentali, in particolar modo quando sono collegate al ciclo produttivo e si svolgono all’interno dello stesso stabilimento industriale in cui si svolge la produzione.
Davide Ferraresi[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]