Sarebbe bastata la riforma. Una revisione costituzionale abborracciata, contraddittoria, che non semplificava i processi legislativi, non riduceva (posto che questo sia il compito di una riforma costituzionale) significativamente i costi della politica, che aumentava il solco tra le regioni a statuto speciale e quelle ordinarie, che avrebbe creato un senato di dopolavoristi elettisi tra loro che sarebbe costato il 90% dell’attuale.
Sarebbe bastata la riforma, quindi, per meritare una sconfitta del genere. Ma si sa che il nostro (ex?) premier e i suoi scherani non sono gente da accontentarsi. Hanno perciò scelto di accompagnare questa riforma a una campagna che probabilmente ricorderemo tra le peggiori della Storia recente.
Non contento di aver spostato il giudizio dal merito della riforma al plebiscito sul governo, il PD ha deciso di mettere in campo una campagna che non ha esitato a ricorrere a ogni bassezza e a ogni argomento capzioso presente sul manuale della peggiore politica. I malati di cancro e i bambini diabetici che sarebbero stati curati meglio, l’accozzaglia del no che si opponeva alla marcia trionfale delle magnifiche sorti e progressive che ci avrebbero regalato i treni che sarebbero arrivati in orario, le bollette che si sarebbero abbassate e chi più ne ha più ne metta. Una campagna che il magnifico stratega ha basato sul lui contro tutti e tutto (“o me o il senato”, “sono tutti contro di noi”, “la casta è tutta per il no”), un sistema mediatico totalmente prono alla propaganda di Palazzo Chigi e ai whatsapp dei grandi spin doctor che hanno dato letteralmente i numeri raccontando prima un vantaggio smisurato del Sì e poi come se nulla fosse la grande rimonta di quello stesso Sì contro l’accozzaglia del No. Negli ultimi giorni, poi, l’apoteosi: hanno chiamato in campo sui social, di cui si ritengono i più grandi conoscitori, persino le pagine buongiorniste e raccatta like, mettendo in campo per il Sì la Madonna e Homer Simpson, e gli hashtag sponsorizzati e ogni genere di promozione su cui lanciare soldi perché risolvessero il problema. Perché contrariamente alle veline di palazzo stavano sentendo tremare la terra sotto i piedi, e da un bel po’. Neanche la strategia del terrore ha funzionato, appellarsi al pericolo populista, al diluvio, ha funzionato. Neanche gli articoli telefonati sui troll grillini organizzati (dalla moglie di Brunetta, abbiamo scoperto) hanno funzionato, mentre i loro troll organizzatissimi deridevano, schernivano e bombardavano sistematicamente qualsiasi voce osasse esprimersi contro il pensiero dominante. Fino a qualche minuto fa. Poi, inesorabile, è piombata su tutta questa invincibile armata la sua vera unica nemesi: la realtà.
E la realtà è che al giudizio finale “o me o il senato”, i cittadini italiani hanno risposto con estrema convinzione e a larga maggioranza “grazie, ci teniamo il senato”.
Ed è così che il grande rottamatore, il grande stratega, il grande comunicatore, quello che avrebbe cambiato per sempre la politica italiana, è caduto. Ed è caduto male. Dopo due annetti. Un altro governicchio da prima o da seconda repubblica. Questa è la vera beffa. Il danno, invece, ce lo siamo risparmiati. E questo è il dato da cui ripartire. Consci che questa è molto più la sconfitta del Sì che non la vittoria del No, e al tempo stesso consapevoli che si tratta di un dato che fa tirare un sospiro di sollievo: a questo tsunami di hybris era necessario mettere un freno, per un fatto di salute, di igiene. E ora prepariamo giorni migliori, il lavoro vero comincia domani, è già cominciato.