In questi giorni di festa, in cui abbiamo visto crescere il già enorme numero di donne vittime di femminicidio, ho continuato a pensare a quello che mi ha detto un ragazzo non molto tempo fa: “ci vuole realismo”.
Stavamo parlando di violenza contro le donne, di violenza sessuale e lui sosteneva che il modo più immediato per evitare di essere violentate fosse evitare di bere. Ci vuole realismo, diceva, e bisogna ammettere che dire ad una ragazza di stare in guardia e non ubriacarsi è sicuramente il modo più immediato di prevenire uno stupro.
Pensieri come questo sono l’esempio lampante di come la violenza contro le donne, in ogni sua forma, sia principalmente un problema culturale.
Chiedere a noi di non ubriacarci per non essere stuprate e non chiedere ai ragazzi di non stuprare è rape culture.
Parlare di capofamiglia e di patria potestà è rape culture.
Affermare che centinaia di donne vengono ancora uccise per un “raptus di gelosia” e non riconoscere che quello dei femminicidi sia un problema strutturale è rape culture, cioè una cultura in cui lo stupro e la violenza sessuale prevalgono e la violenza contro le donne è normalizzata e scusata dai media e dalla cultura popolare.
L’esistenza della rape culture colpisce ogni donna. La maggior parte delle donne e delle ragazze, in effetti, vive con la paura di essere stuprata. Gli uomini, in generale, no.
Non abbiamo il controllo sui nostri corpi, ma piuttosto che vedere la cultura dello stupro come un problema da eliminare, le persone che ne fanno parte pensano che sia semplicemente “il modo in cui vanno le cose”.
Proprio per questo, a pochi mesi dagli Stati Generali delle Donne, mentre intorno a noi tutto sembra fare un passo indietro, noi abbiamo continuato a fare passi avanti. Ci eravamo promesse di continuare a lavorare insieme ed è quello che stiamo facendo.
Dal nostro pomeriggio di discussione a Bologna era venuta fuori la necessità di agire a livello culturale, perché la disuguaglianza che condiziona le nostre vite è innanzitutto un problema culturale.
Stiamo lavorando a campagne informative e di contro-comunicazione che prendano in esame tutte le sfere della cultura, dall’educazione alla comunicazione, alla politica.
Vogliamo dare i numeri, quelli veri, per mostrare quanto diffusa sia la violenza sulle donne e per iniziare a combatterla.
Vogliamo raccontarvi di chi ha combattuto prima di noi per i diritti delle donne, e di chi continua a farlo.
Vogliamo agire di femminismo nella politica, combattendo gli stereotipi di genere che vedono la donna come madre e confinata alla sola sfera privata.
Vogliamo creare una rete di relazione fra le donne, con una piattaforma che possa dare voce a tutte.
Vogliamo costruire un paese in cui possiamo abbassare la guardia, vogliamo #unpaeseperdonne.
Se vuoi fare sentire la tua voce, scrivi a unpaeseperdonne@possibile.com