Una cultura di pace

È davvero necessario incrementare la spesa militare quando i 26,5 miliardi di euro annui stanziati per il bilancio della difesa già ci collocano all’undicesima posizione mondiale? A fronte di un sistema sanitario nazionale sottofinanziato, una spesa sociale in calo costante, la più bassa percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione in Europa e l’indifferibile riconversione ecologica dei sistemi produttivi, ci sembra che le priorità di spesa debbano essere altre e che gli stessi concetti di sicurezza e interesse nazionale debbano essere intesi anche, se non principalmente, nelle loro dimensioni non militari.

di Ales­san­dro Tinti

Le guer­re dimen­ti­ca­te rie­mer­go­no sul­la spiag­gia di Stec­ca­to di Cutro, nei cor­pi esa­ni­mi di chi scap­pa­va dall’Afghanistan, dal­la Siria, dall’Iran, dal­la Soma­lia. Pae­si abban­do­na­ti a loro stes­si, come cor­pi lascia­ti anda­re alla deri­va. Da quel­le guer­re dimen­ti­ca­te avrem­mo dovu­to trar­re del­le lezio­ni. Avrem­mo dovu­to capi­re che le guer­re moder­ne han­no un ini­zio ma spes­so non una fine, che la pace non si con­qui­sta mili­tar­men­te, che le armi non ripa­ra­no l’ingiustizia subi­ta ma la mol­ti­pli­ca­no sol­tan­to. Le tan­te cri­si irri­sol­te cui la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le non ha sapu­to o volu­to dare rispo­sta han­no sman­tel­la­to, pez­zo a pez­zo, il già imper­fet­to siste­ma di sicu­rez­za del­la Car­ta del­le Nazio­ni Uni­te e incri­na­to la fidu­cia nel­la diplo­ma­zia e nel dirit­to internazionale. 

Il con­flit­to rus­so-ucrai­no è una nuo­va vora­gi­ne, ancor più temi­bi­le per­ché epi­cen­tro di un con­flit­to che può inne­sca­re uno scon­tro glo­ba­le e nuclea­re. È una guer­ra euro­pea rispet­to alla qua­le l’Unione Euro­pea non è anco­ra riu­sci­ta a dare una rispo­sta comu­ne per apri­re il nego­zia­to. Per­ché le guer­re fini­sco­no solo quan­do ci si sie­de attor­no ad un tavo­lo e si ini­zia a discu­te­re. L’assenza di un oriz­zon­te euro­peo ha inve­ce ali­men­ta­to i par­ti­co­la­ri­smi ed una reto­ri­ca bel­li­ci­sta che ogni gior­no di più allon­ta­na la pace. Ci ave­va mes­so in guar­dia Altie­ro Spi­nel­li, dal­la cel­la in cui il regi­me fasci­sta lo ave­va rin­chiu­so: con il risor­ge­re dei nazio­na­li­smi i popo­li sono con­ver­ti­ti in eser­ci­ti, gli sta­ti si affi­da­no alla sola for­za del­le armi, le con­qui­ste del­la demo­cra­zia diven­ta­no nul­la di fron­te alla pre­pa­ra­zio­ne di una nuo­va guerra. 

Farem­mo bene a rileg­ge­re il Mani­fe­sto di Ven­to­te­ne. Capi­rem­mo che in momen­ti così pre­ca­ri e incer­ti dob­bia­mo affi­dar­ci ai prin­ci­pi fon­da­men­ta­li del­la Costi­tu­zio­ne repub­bli­ca­na, per­ché que­sta fu con­ce­pi­ta dopo il più atro­ce dei con­flit­ti affin­ché ciò non si veri­fi­cas­se anco­ra: il ripu­dio alla guer­ra come mez­zo di riso­lu­zio­ne del­le con­tro­ver­sie inter­na­zio­na­li, la pro­mo­zio­ne del­la pace e del­la giu­sti­zia, il pri­ma­to del dirit­to sul­la for­za. Sono prin­ci­pi che asse­gna­no la respon­sa­bi­li­tà di vin­ce­re la pace. E indi­ca­no anche gli stru­men­ti per farlo. 

In que­sti mesi il dibat­ti­to sul­la poli­ti­ca este­ra e di dife­sa ha inve­ce subi­to un arre­tra­men­to spa­ven­to­so, tan­to da tra­sfi­gu­ra­re la pace come un disva­lo­re e l’appello alla diplo­ma­zia come un atto di com­pli­ci­tà con l’invasore. Si è affer­ma­ta una nar­ra­ti­va bel­li­ci­sta che non pro­met­te alcu­na solu­zio­ne se non il vico­lo cie­co del­le armi. L’alta poli­ti­ca, quel­la che dovreb­be aver cura del­la sicu­rez­za nazio­na­le e inter­na­zio­na­le, è total­men­te assente. 

Dopo un anno di com­bat­ti­men­ti la man­can­za di una linea diplo­ma­ti­ca per impor­re il ces­sa­te il fuo­co è intri­sa di cat­ti­va coscien­za. Inve­ce che una con­fe­ren­za di pace, il Mini­stro degli Este­ri Taja­ni ha annun­cia­to che il Gover­no con­vo­che­rà a Roma una gran­de con­fe­ren­za per la rico­stru­zio­ne dell’Ucraina, “con il con­tri­bu­to del­le impre­se ita­lia­ne”. Il Mini­stro del­la Dife­sa Cro­set­to ha pun­ta­to i pie­di in Par­la­men­to sull’urgenza di por­ta­re al 2% del PIL le spe­se mili­ta­ri, che già han­no visto un incre­men­to di oltre 800 milio­ni di euro nell’ultima Leg­ge di Bilan­cio secon­do la sti­ma dell’Osservatorio Mil€x. Il Mini­stro Cro­set­to ha pure isti­tui­to un comi­ta­to per la pro­mo­zio­ne del­la cul­tu­ra del­la dife­sa, arruo­lan­do edi­to­ria­li­sti, docen­ti e anche espo­nen­ti dell’industria bel­li­ca che a ben vede­re si appre­sta­no ad ammor­bi­di­re l’opinione pub­bli­ca per accet­ta­re ulte­rio­ri rial­zi. Tre indi­zi fan­no una pro­va. Del resto, le guer­re sono sem­pre sta­te anche gran­di affa­ri e gran­di pre­te­sti per ser­vi­re inte­res­si di par­te. Il con­flit­to in Ucrai­na non fa eccezione. 

Per que­sta ragio­ne abbia­mo urgen­te­men­te biso­gno di pro­muo­ve­re una cul­tu­ra del­la pace che affron­ti la poli­ti­ca este­ra e di dife­sa con argo­men­ti e sen­si­bi­li­tà diver­se, che sia aper­ta al con­tri­bu­to essen­zia­le del­la socie­tà civi­le e che recu­pe­ri la cen­tra­li­tà del dirit­to inter­na­zio­na­le e del­la soli­da­rie­tà tra i popo­li. A Roma furo­no fir­ma­ti i trat­ta­ti isti­tu­ti­vi del­la Comu­ni­tà euro­pea e lo sta­tu­to del­la Cor­te pena­le inter­na­zio­na­le. È un’eredità da non disper­de­re che ci impe­gna ver­so un’etica non bel­li­ci­sta del­la poli­ti­ca inter­na­zio­na­le, ancor più in que­sta fase cri­ti­ca di inde­bo­li­men­to del multilateralismo. 

Mol­to può esse­re fat­to. Lo dimo­stra­no, ad esem­pio, le tan­te real­tà del­la socie­tà civi­le affe­ren­ti alla Rete Ita­lia­na Pace e Disar­mo che instan­ca­bil­men­te costrui­sco­no pon­ti sopra le mace­rie e che sono impe­gna­te in una mol­te­pli­ci­tà di fron­ti, dal disar­mo nuclea­re ai pro­get­ti di dife­sa civi­le non arma­ta e non­vio­len­ta. Sono voci e com­pe­ten­ze che devo­no esse­re ascol­ta­te per saper por­re le giu­ste domande. 

Ad esem­pio, è dav­ve­ro neces­sa­rio incre­men­ta­re la spe­sa mili­ta­re quan­do i 26,5 miliar­di di euro annui stan­zia­ti per il bilan­cio del­la dife­sa già ci col­lo­ca­no all’undicesima posi­zio­ne mon­dia­le? A fron­te di un siste­ma sani­ta­rio nazio­na­le sot­to­fi­nan­zia­to, una spe­sa socia­le in calo costan­te, la più bas­sa per­cen­tua­le di spe­sa pub­bli­ca desti­na­ta all’istruzione in Euro­pa e l’indifferibile ricon­ver­sio­ne eco­lo­gi­ca dei siste­mi pro­dut­ti­vi, ci sem­bra che le prio­ri­tà di spe­sa deb­ba­no esse­re altre e che gli stes­si con­cet­ti di sicu­rez­za e inte­res­se nazio­na­le deb­ba­no esse­re inte­si anche, se non prin­ci­pal­men­te, nel­le loro dimen­sio­ni non mili­ta­ri. Dopo aver paga­to il caro prez­zo di una pan­de­mia glo­ba­le e con gli effet­ti del cam­bia­men­to cli­ma­ti­co sot­to gli occhi, dovreb­be esse­re una con­si­de­ra­zio­ne banale.

La guer­ra in Ucrai­na e le tan­te altre guer­re dimen­ti­ca­te nel mon­do, in cui si com­bat­te con armi ita­lia­ne (come in Yemen) o di cui abbia­mo con­tri­bui­to a crea­re le con­di­zio­ni (come in Afgha­ni­stan), ci chia­ma­no ad esse­re obiet­to­ri di coscien­za ed eser­ci­ta­re la più gran­de del­le respon­sa­bi­li­tà. Lo dob­bia­mo a noi stes­si. Lo dob­bia­mo a chi dal­la guer­ra scap­pa­va e nel mare nostro ha per­so la vita. 

 

 

 

 

 

 

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