Il fantasma della riforma del lavoro aleggia sul nostro paese. Non si materializza ma assomiglia sempre più a un incubo.
Eppure di una riforma ci sarebbe bisogno, eccome. È vero che per creare posti di lavoro servono imprenditori che investano, quindi un mercato che invogli ad investire (e uno stato che agisca sul mercato con questo obiettivo). Ma se le regole sono sbagliate (e se lo stato non ha una politica industriale) gli investimenti vanno nella direzione sbagliata. Verso un lavoro povero, di scarsa qualità, facilmente replicabile altrove, a costi ancora più bassi. I call center, i contoterzisti nei garage, i volantini porta a porta non sono il futuro del nostro paese.
La destra insiste ad abbassare ancor più le tutele per deprimere ancor più i salari. E in Europa c’è chi prende a modello un paese con una disoccupazione 3 volte la nostra (quella giovanile oltre il 50%).
Ma la risposta non può essere solo difensiva, non fare la riforma. O buttare la palla in tribuna, con il rito perditempo di una legge delega che sarà operativa, se tutto fila liscio, nel 2016. O cercare un accordo a tutti i costi con la destra che ci ha portato in questa situazione (magari minacciando un decreto per mettere il Parlamento con le spalle al muro).
C’è un’alternativa. Presentare proposte di merito, stralciandole dalla delega e portandole alla discussione parlamentare senza la forzatura di un decreto. Proposte che abbiano un indirizzo chiaro: investire sul lavoro di qualità, incentivare l’investimento in formazione e innovazione, disboscare la giungla del precariato, garantire un reddito minimo a tutti i senza lavoro, indirizzare con misure efficaci verso la riduzione di orario in alternativa ai licenziamenti.
È possibile. La nostra proposta è qui: nero su bianco per la discussione e la condivisione. Partendo da un PD che abbia il coraggio delle proprie idee.
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