Una nuova maggioranza per il diritto all’informazione

Cer­to, se il rap­por­to con Gril­lo fos­se tra­dot­to in musi­ca assi­ste­rem­mo al revi­val del­la jam ses­sion di un grup­po hard rock degli anni set­tan­ta. Alti e bas­si di intrec­cia­no sen­za solu­zio­ne di con­ti­nui­tà: musi­ca tota­le, avreb­be det­to sor­ri­den­do il com­pian­to Gior­gio Gasli­ni. Ecco, il caso del­le ulti­me ore va visto così: una misce­la di stop and go sui temi del red­di­to di cit­ta­di­nan­za e del­la Rai. In poche ore è sem­bra­ta aprir­si e poi subi­to chiu­der­si l’apertura al dia­lo­go del lea­der del MoVi­men­to 5 Stel­le. Ma atten­zio­ne, eppur si muo­ve. Gril­lo vie­ne da tutt’altra sto­ria di approc­ci cul­tu­ra­li e di lin­guag­gi, che non pos­so­no esse­re inter­pre­ta­ti con il metro duro e puro del ‘poli­ti­co’. O con la let­tu­ra pro­fon­da e cir­co­spet­ta con cui è dove­ro­so valu­ta­re uno scrit­to di Kant o di Hegel. Per dire. Come è sta­to anche que­sta vol­ta il copio­ne inter­pre­ta­to dal­la lea­der­ship ‘ren­zia­na’ del Par­ti­to democratico.

Men­tre bene han­no fat­to Pip­po Civa­ti e Nico­la Fra­to­ian­ni a rac­co­glie­re la sfi­da, rilan­cian­do­la. In par­ti­co­la­re, sul­la que­stio­ne Rai, è sta­ta pre­sen­ta­ta un’efficace pro­po­sta di leg­ge fir­ma­ta pro­prio da Civa­ti e Fra­to­ian­ni insie­me ad Artu­ro Scot­to, San­dra Zam­pa, Anna­li­sa Pan­na­ra­le e Luca Pasto­ri­no. Testo che ha vari pun­ti di con­tat­to con l’omologo pro­get­to nel frat­tem­po depo­si­ta­to da Rober­to Fico e col­le­ghi. Si asso­mi­glia­no, infat­ti, l’esigenza di dare discon­ti­nui­tà ai cri­te­ri di nomi­na del con­si­glio di ammi­ni­stra­zio­ne dell’azienda –supe­ran­do il con­trol­lo dei par­ti­ti- e di intro­dur­re moda­li­tà di scel­ta all’altezza del peso e del­la rile­van­za del siste­ma dei media. Sia­mo den­tro un pro­ces­so pode­ro­so di cam­bia­men­to di model­li pro­dut­ti­vi e sti­li di frui­zio­ne o di con­su­mo. Il rischio di un’ulteriore divi­sio­ne tra chi ha mez­zi e stru­men­ti per sta­re nel flus­so e chi no è altis­si­mo. E’ quel­lo che si chia­ma “digi­tal divi­de”. Ecco, da qui pren­de le mos­se il testo Civa­ti-Sel, figlio di un lun­go e meti­co­lo­so lavo­ro orga­niz­za­to dal “MoveOn” (movi­men­to nato in Ita­lia sull’onda dell’esperienza degli Sta­ti Uniti).

Il cuo­re del prov­ve­di­men­to sta nell’assegnare alla Rai la tute­la del “bene comu­ne-infor­ma­zio­ne”. La cit­ta­di­nan­za digi­ta­le signi­fi­ca l’opportunità per tut­ti di acce­de­re sen­za discri­mi­na­zio­ni all’insieme del­le piat­ta­for­me tec­no­lo­gi­che cui la “rivo­lu­zio­ne” del set­to­re apre la stra­da. Guai a ras­se­gnar­si a una serie A con offer­ta abbon­dan­te e di qua­li­tà, rele­gan­do il resto ad una serie B impre­gna­ta di una vec­chia e logo­ra tele­vi­sio­ne gene­ra­li­sta carat­te­riz­za­ta da un ecce­den­te peso del­la pub­bli­ci­tà e da uno sbri­ga­ti­vo trat­ta­men­to dei dati per­so­na­li. Inol­tre, la nomi­na del ver­ti­ce del­la Rai vie­ne affi­da­ta al “Con­si­glio per le Garan­zie del Ser­vi­zio Pub­bli­co”, for­ma­to da 21 mem­bri dei qua­li solo 6 espres­si dal Par­la­men­to, a fron­te di una pre­va­len­te pro­ve­nien­za da asso­cia­zio­ni del­la socie­tà civi­le. Anco­ra. Il cano­ne di abbo­na­men­to vie­ne reso pro­por­zio­na­le al red­di­to: è assur­do che un signo­re stra­ric­co paghi la stes­sa cifra di un gio­va­ne pre­ca­rio. Infi­ne, si intro­du­co­no nor­me cogen­ti sul­le incom­pa­ti­bi­li­tà e sul­la facol­tà di ogni cit­ta­di­no di rivol­ger­si al giu­di­ce per veder­si sem­pre rico­no­sciu­to il pro­prio dirit­to all’informazione.

La pro­po­sta sarà ulte­rior­men­te sot­to­po­sta alla discus­sio­ne e, nel­le inten­zio­ni, potreb­be diven­ta­re uno dei ban­chi di pro­va del ritor­no –final­men­te- al pri­ma­to del Par­la­men­to. Appun­to, ci si atten­de che il gover­no fac­cia cono­sce­re le sue di inten­zio­ni, non con decre­to (ci man­che­reb­be, c’è una con­so­li­da­ta giu­ri­spru­den­za costi­tu­zio­na­le che lo esclu­de), ben­sì con un “nor­ma­le” dise­gno di leg­ge. Una rifor­ma del­la “gover­nan­ce” avreb­be i voti, sen­za ali­bi. Anzi. Una mag­gio­ran­za si pro­fi­le­reb­be anche per i due gran­di tabù (Pat­to del Naza­re­no, ci sei anco­ra?) irri­sol­ti: rego­la­men­ta­zio­ne rigo­ro­sa del con­flit­to di inte­res­si e abro­ga­zio­ne del­la leg­ge Gaspar­ri sul siste­ma radio­te­le­vi­si­vo, quel­la che “san­ti­fi­cò” il ber­lu­sco­ni­smo. E’ un’utopia? In veri­tà, esi­stia­mo anche per questo.

Sca­ri­ca la pro­po­sta di legge

Sca­ri­ca la sche­da espli­ca­ti­va del­la pro­po­sta di legge

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La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.