La politica pop, stanno insegnando con fare evangelico, è quella divertente forma del pensiero breve contemporaneo che deborda nei social network. Segnatamente su twitter, oltre che attraverso le parodie satiriche di valenti autori, le corruzioni dei poster in .jpg, canzoni e inni messi alla berlina, fotografie che inchiodano e diventano virali, imitazioni che invece di limitare il consenso della “vittima” ne accrescono una sezione perversa della popolarità. Di luoghi comuni ahimè veri, si pasce il fenomeno: «il PD si spacca», ad esempio, lo metti su tutto, dall’insalata ai gemelli ton sur ton. Batte le ali una farfalla a Singapore? Il PD si spacca. Vecchioni forse è candidato al Nobel? Il PD si spacca. Tanto da farci un tumblr istantaneo, tra un lazzo e un frizzo, a chiedersi come mai sempre, pervicacemente, allargando le braccia il PD si spacca.
Una risposta, manco troppo fra le righe, l’ha data Giuseppe Civati lo scorso giovedì al teatro Vittoria in Roma, durante l’ouverture della campagna congressuale che lo vede candidato alla segreteria nazionale del partito. «Sono anni che mediamo», tanto tempo che quasi non ce lo ricordiamo più, quando fu l’ultima volta che la sinistra e il centrosinistra conseguirono un risultato significativo per la platea di elettori che a loro si rivolgono. Il PD media troppo e media male, anche quando apparentemente parte da posizioni di forza: conseguire il rifinanziamento della cassa integrazione e delle misure verso gli esodati creati dalla somma mediazione del ministero Fornero ‑ad esempio- era il punto minimo da ottenere, quando la contropartner di governo può ben sbandierare la propria vittoria nella cancellazione integrale dell’IMU, che lo stesso PDL “non ricorda” più di aver inserito a suo tempo. E siamo bovinamente pronti ad accettare che fosse così anche prima del governo Monti, nato col consenso di chi, senza, avrebbe vinto le elezioni. Forse.
È una vita che mediamo: così invece di imporre al governo dei compiti precisi, forti di numeri mai avuti prima almeno alla Camera ‑il piano C evocato da Civati ancora ai primi di marzo- ci si strappa lì nel mezzo, dove poi è più difficile ricucire. E gongola chi non media proprio per niente, dalle parti della destra, acquisendo sul velluto. Ché a giocare generosi, anzi “responsabili” come ama dire lo stato maggiore del partito ad ogni alzata di sopracciglio del presidente della Repubblica, prima o poi impareranno che ci si rimette: nel fiato corto, nella visione appannata, nel venir meno del sostegno degli aficionados, non solo nell’accostamento verbale a Scilipoti e Calearo. Mediamo perché far due parti in commedia ci pare l’unica, quando in luogo della conservazione politica si afferma l’altrui interesse personale; mediamo là dove si fanno convivere opzioni opposte, con l’addotto motivo che tocca sostituirsi anche a una destra inesistente. Una iattura, ben vedete.
Fin dalla sua nascita ‑e siamo prodighi nel non voler includere anche il periodo in cui vigevano i massimi partiti cofondatori- il PD ha mediato con Berlusconi per la governance, con l’Europa per l’economia, coi fautori di un centro immobile per la riforma elettorale, con il Vaticano pre-bergogliano per i diritti civili delle persone, con l’articolo 11 della Costituzione quando si trattava di mandare i soldati a far la guerra. Raramente si è ricordato di mediare coi propri elettori, ad esempio nei giorni convulsi del voto per il Quirinale, quando non ha saputo farsi seguire dalla base a nessun livello. O in occasione dell’acquisto degli F35, per non dire della conferma di Alfano dopo il caso kazako nè, all’origine, dell’accantonamento di Italia Bene Comune. Eppure, nella florida Germania, la SPD da posizioni d’inferiorità ha coinvolto materialmente i suoi iscritti e sottoposto alla Merkel un decalogo di richieste stringenti, con tanto di vidimazione: salari minimi più alti, parità di trattamento economico per le donne, fondi alla scuola pubblica. Cose di sinistra, insomma.
Altre volte la gerenza del Partito Democratico ha deciso di non mediare nemmeno, e di lavarsi le mani tra urgenze più alte che non lo spicciolo tornaconto nelle presidenze delle commissioni: come tra lavoro e ambiente a Taranto, lasciando colpevolmente cadere un vanto industriale senza che la comunità locale beneficasse di un’aria più salubre e di analisi mediche non preoccupanti. Ecco, se “Una vita che mediamo” è stata la canzone triste, solitaria y final chem ha condotto a questa situazione, la musica può cambiare con Giuseppe Civati segretario: non foss’altro che per l’orgoglio di rappresentare chi al PD si affida e non chi ne contrasta le idee e i valori, per andare a testa alta sapendo di non aver tradito la fiducia delle persone, per aver scelto gli interessi da sostenere (uno su tutti, le imprese che restano in Italia a produrre anziché quelle che migrano dove i diritti sindacali sono inesistenti).
Quindi siamo alla partenza: una vita che mediamo, e il PD si spacca. Non è una barzelletta: il partito si spacca proprio perché una sua parte è ancora refrattaria a giocare al ribasso, mentre un’altra disinvoltamente è capace di passar sopra a ogni nequizia per giustificare la governabilità, la stabilità, assurgendole a valore in sè compiuto. Con l’effetto che questi ultimi passano per “responsabili” (vedi sopra) mentre chi sommessamente fa notare le discrasie con quanto si era detto e promesso a febbraio, diventa il dissidente, il reprobo, magari passibile di espulsione. Forse è vero, come scrive il Serra migliore, che dentro il PD ci sono elementi che odiano la sinistra, un’entità che sa di essere parte e non il tutto: sarà mai possibile, qualcuno allora si chiede. No, suggerisce Maurizio con efficace neologismo: una circostanza come questa può essere incredibile, e al tempo stesso essere pidibile, cioè possibile nel Partito Democratico.