[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1500626429156{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Con sentenza n. 170 del 2017 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del d.l. 133 del 2014, cosiddetto “Sblocca Italia”, limitatamente all’art. art. 38, comma 7, laddove rimette al Ministero dello Sviluppo economico la definizione del disciplinare con le modalità di conferimento del titolo concessorio senza alcun coinvolgimento delle Regioni, nonostante l’incidenza sulla materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Lo stesso articolo risulta altresì incostituzionale limitatamente al comma 10 sullo svolgimento delle attività minerarie nel Golfo di Venezia perché «sacrifica agli interessi energetici e fiscali […] quello alla salvaguardia dell’ambiente».
Risulta così colpito un altro pezzo delle “riforme” della legislatura, e soprattutto dei tre anni del Governo Renzi, che all’inizio ne aveva annunciate a bizzeffe: “una al mese” (anche se ora lo si ricorda poco). Era il periodo della grande ubriacatura del “rinnovamento”, in cui bastava un titolo perché tutti o quasi credessero che era “la volta buona”, come già “fatto!” (anche se quest’ultimo era lo slogan di un predecessore). Mentre tutti brindavano ai titoli, facevamo presente che mancava “il foglio del come”: ma questo – come pochi tendono a ricordare – era considerato da “gufi”, “frenatori”, semmai – se se ne possedeva il titolo (non particolarmente rispettato) – nella variante “professoroni”.
Dopo che la cortina fumogena dei fuochi d’artificio che accompagnava “la grande bouffe” delle riforme si è diradata grazie soprattutto al risultato del referendum costituzionale, risulta impietosamente come il “foglio del come”, quando c’era (perché a volte sembra che mancasse proprio), fosse quasi sempre molto pasticciato.
Se già alla vigilia del referendum costituzionale nessuno rivendicava il merito della riforma costituzionale (le cui criticità erano ammesse dagli stessi autori e sostenitori), la riforma elettorale è stata giudicata incostituzionale nel suo carattere fondamentale: il ballottaggio (con cui il padre della legge D’Alimonte riteneva di identificare la legge stessa). Ma scorrendo la giurisprudenza costituzionale vediamo, appunto, come molti altre siano le occasioni in cui le riforme dell’epoca sono state giudicate incostituzionali: dalla legge Madia (sent. n. 251 del 2016) al d.l. 133 del 2014, sobriamente definito (in coerenza con la pretesa di essere “l’unico argine al populismo”) “Sblocca Italia”, colpito prima dalla sent. n. 7 del 2016 e poi dalla sent. n. 170 del 2017, come ricordato in apertura.
In molte di queste decisioni il problema è proprio il mancato coinvolgimento delle autonomie regionali, viste con fastidio, in effetti, anche dalla riforma costituzionale (che pure ne metteva qualche consigliere in Senato).
Forse tutto questo potrebbe servire come monito per il futuro, per evitare di puntare tutto ancora una volta fideisticamente sul “tocco magico” di qualcuno. Dobbiamo chiedere, invece, di scrivere (e illustrare) bene prima il “foglio del come”. Con meno fretta e più efficienza. Del resto, come scriveva Bobbio (Il futuro della democrazia), in democrazia le domande sono veloci, ma le risposte devono essere lente (cioè riflettute); per chi non avesse avuto occasione di leggerlo, poteva bastare anche avere ascoltato la nonna, quando – riprendendo forse inconsapevolmente i classici, da Esopo ad Aristofane – ci diceva che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]