Da Reggio Emilia a Bologna ci si mette poco. Meno di un’ora. Pochi chilometri. Una settantina. Ma la strada fatta tra i giorni del W Days e la sera dell’Estragon è stata tantissima. E non solo materialmente. Sono passati tanti mesi. Mesi in cui Giuseppe Civati ha girato l’Italia in lungo in largo, facendo rete, portando la politica alla gente, facendola sentire di nuovo al centro del processo di cambiamento. Ampliando passo dopo passo la sua base che adesso crede in lui perché crede in un progetto nuovo, un partito diverso, una sinistra migliore e un paese che sappia chiamare i problemi col proprio nome per affrontarli e superarli.
Questa rete si è trovata ieri all’Estragon di Bologna. Sono venuti da tutta Italia, isole comprese. Lo ha fatto per ritrovarsi, darsi un volto, sentirsi parte di qualcosa perché è finalmente parte di qualcosa. Più di duemila persone, sembra. Il locale pieno in ogni ordine di posto al punto da esaurire non solo le sedie, ma anche lo spazio in piedi. Gente che si mischiava ai #civoti che dopo aver parlato sul palco passavano a vedere le magliette, reclamare del ciwino (il vino civatiano portato dalla delegazione piemontese) e prestavano attenzione a quello che veniva loro chiesto. Ecco.
È questo il senso della campagna congressuale di Giuseppe Civati. Il movimento che parte dal basso. La scossa di una novità che sta a sinistra perché ha il coraggio di affrontare sfide difficili. Che alterna momenti di riflessione economica (Rita Castellani e Filippo Taddei) a speranza per un futuro sostenibile (Marco Boschini e Mirko Tutino) passando per il fondamentale tema dei diritti (Daniele Viotti e Ilda Curti) senza dimenticarsi la centralità di una politica nuova (Corradino Mineo, Sandra Zampa) dove cultura e istruzione sono parte fondamentale dell’avanzamento democratico del paese (Walter Tocci) così come la legalità (Felice Casson, Lucrezia Ricchiuti) e la tolleranza (Antonio Mumolo, Davide Mattiello). Ecco, dal ventennio si esce grazie ai ventenni come Elly Schlein e Giovanni Diamanti, perché le idee politiche che ci hanno preceduto non hanno portato a niente di buono e sono state sconfitte (Beatrice Brignone mentre rievoca il famigerato modello Macerata) e forse è anche giusto ritrovare un po’ di coraggio.
Quel coraggio, per capirci, che ha permesso di ridere del mancato invito di Fabio Fazio a Che tempo che fa e inventarsi una finta intervista, dove Giuseppe Civati rispondeva alle domande in montaggio di un avatar-Fazio in un finto studio. La tecnologia serve anche a questo. Serve anche a questo perché la nostra sfida per cambiare le cose parte dal principio fondamentale dell’uguaglianza. Tutti devono avere le stesse condizioni di partenza, le stesse possibilità. Ed era questo quello che univa il popolo che ieri ha popolato l’Estragon per chiudere la campagna congressuale. Una voce. Una speranza. Una possibilità.
http://www.youtube.com/watch?v=L8hHuNJz0Bo
Un giorno nuovo, insomma. Dove si possa suonare un’altra musica. Alternativa. Perché è possibile e a portata di mano. “Se non votate l’8 dicembre è molto difficile cambiare le cose”, dice Civati a chiusura del suo discorso. Ecco. Ha ragione. Perché il coraggio passa anche da queste piccole responsabilità quotidiane. Il cambiamento parte da noi ed è una questione di volontà. Bologna ha dimostrato che la strada si è riempita di esperienze, ha raccolto frutti insperati e sorprendenti. Ma soprattutto, ha dimostrato che, settimane dopo Reggio Emilia, esiste un vero e proprio popolo che aveva solo bisogno di essere innescato. Alziamoci e camminiamo, diceva qualcuno. È l’ultimo sprint prima di una grande sorpresa. Perché il cambiamento, non dimentichiamolo mai, saremo noi.