[vc_row][vc_column][vc_column_text]Non ci sono sorprese nei dati sull’evasione fiscale emersi dallo studio effettuato da UVI, Ufficio Valutazione Impatti del Senato. Lo studio sul cosiddetto Under Reporting (letteralmente “sotto-dichiarazione”) è volto più che altro a fornire un nuovo approccio metodologico che a disvelare nuovi metodi di evasione o elusione fiscale.
L’Under Reporting è la «tendenza a dichiarare un reddito inferiore al reale non solo nelle dichiarazioni dei redditi, ma anche nelle indagini campionarie utilizzate dagli studiosi per misurare l’evasione fiscale». Una voce analoga è contenuta nel Rapporto Annuale sull’Economia Non Osservata (ISTAT, 2017) e contiene la stima del reddito non dichiarato al Fisco.
Nel 2015 (ultimo dato disponibile), si trattava di ben 93 miliardi, contro i 99 miliardi del 2014. Il ricorso alla sottodichiarazione ha una incidenza più elevata nei Servizi professionali, dove rappresenta il 16,2% del valore aggiunto complessivo, nel settore del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (12,8%) e nelle Costruzioni (12,3%). Minori le incidenze nelle attività connesse alla Produzione di beni alimentari e di consumo (7,7%), alla produzione di beni di investimento (2,3%), mentre è marginale (0,5%) nella Produzione di beni intermedi, energia e rifiuti.
L’indagine dell’UVI ha messo in evidenza l’aleatorietà di queste stime. Infatti l’ammontare complessivo del valore aggiunto sottodichiarato, secondo UVI, è di circa 132 miliardi, con effetti nei termini di minor gettito Irpef pari a 38 miliardi. L’imposta è quindi fortemente influenzata nel suo impatto redistributivo e la progressività ridotta. L’aliquota media effettiva — scrive UVI ‑diminuisce di circa 4 punti percentuali, passando dal 20% circa (nel caso teorico senza evasione) al 16% (senza evasione).
Vi sarebbe «una relazione sostanziale fra la propensione degli individui a mentire sul proprio reddito nelle interviste» e loro inclinazione a occultare gli introiti alle autorità fiscali, tendenza più forte specie fra i contribuenti in regime di autodichiarazione.
La tendenza a mentire alle indagini statistiche varrebbe quindi la differenza fra i 132 miliardi di reddito non dichiarato come individuati da UVI e i 93 miliardi delle stime ISTAT. Siamo comunque su un ordine di grandezza molto elevato.
Anche ISTAT rileva come la propensione al Gap d’imposta sia più alta per il lavoro autonomo e d’impresa (67,2% nel 2015), sebbene in contrazione lieve rispetto all’anno precedente (-0,4%, dati ripresi dalla Relazione sull’Economia Non Osservata pubblicata ad integrazione della Nota di aggiornamento del DEF 2017).
Il lieve miglioramento del Gap IVA fatto segnare nel 2015 (-1.5 miliardi), è parzialmente imputabile agli strumenti del fisco elettronico introdotti in modo sperimentale in quel periodo (in particolare, la fatturazione con la Pubblica Amministrazione). Una strategia che se fosse perseguita a tappeto, con lo scontrino elettronico, la fatturazione elettronica per tutti e ponendo anche un forte limite ai contanti, potrebbe decisamente invertire la rotta.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]