Pubblichiamo il testo dell’intervento di Emanuele Busconi, tenuto durante l’assemblea provinciale di Liberi e Uguali a Torino il 26 marzo.
Care tutte e cari tutti.
A volte ripenso a qualche mese fa quando ci trovavamo in un’assemblea simile a questa per costruire “una nuova proposta”. Ricordo bene gli appelli frequenti di quel giorno affinché da lì si iniziasse a pensare ad una nuova idea di sinistra che fosse lungimirante e lasciasse spazio ai giovani. Inconsciamente mi scappò un sorriso quando una, due, tre volte dal palco si chiese di candidare volti freschi, giovani e credibili. Un amico, mio coetaneo, mi disse che ero prevenuto, che forse sarebbe stata la volta buona, viste le tante batoste già prese in passato.
Bene, vi segnalo che quell’amico oggi non è presente e non ha voluto partecipare a questa campagna elettorale. Non è stato neanche necessario che mi spiegasse che avevamo tradito le sue aspettative ancora prima che questa sinistra nascesse. Come lui tanti altri.
Del resto sappiamo bene quanto fosse faticoso intercettare i giovani, quanto poco fossimo credibili ai loro occhi e come fosse difficile spiegare loro che nelle nostre liste la maggior parte dei candidati giovani e meno noti fossero del tutto ineleggibili, pur essendo validissimi e spesso più credibili di chi li precedeva nel listino.
Viene spontaneo pensare che almeno eravamo sicuri che i volti “anziani e rassicuranti” che vegliavano su noi dall’alto del loro primo posto in lista, sarebbero stati capaci di intercettare il loro storico elettorato e convincerlo a seguirci. Invece non è stato così.
Non mi stupisco affatto.
Ci tocca fare autocritica ed essere consapevoli che in Piemonte alcuni candidati non sono stati in grado neanche di ascoltare e rispondere cordialmente alle domande dei loro militanti durante le assemblee. Mi chiedo dove si pensi di andare se non si ascoltano neanche quei militanti che hanno attacchinato, volantinato, organizzato incontri, convinto persone e magari anche litigato con qualcuno pur di portare a casa qualche voto in più.
Sia chiaro, alcuni dei candidati erano ottimi, li stimo e li ringrazio per tutto quello che hanno fatto, ma credo non si sia qui oggi per questo.
Il risultato del 4 marzo ci lascia amareggiati e scontenti, ma diciamoci la verità, forse sarebbe stato il caso di mostrarci amareggiati e scontenti un po’ prima.
Per esempio quando un candidato, solo col potere dovuto al microfono che teneva in mano e la consapevolezza di avere spalle coperte, ha smentito un’assemblea nazionale intera dicendo che parte del programma letto a Roma davanti ai delegati e votato da tutti i presenti, tranne un astenuto, era sbagliato. Come se quel voto non valesse niente, come se un candidato potesse cancellare il lavoro di chi per mesi aveva contribuito a quel programma e, lasciatemi dire, cancellare anche quel poco di democrazia e partecipazione che in LeU ci erano state concesse.
Ora, mi pare del tutto evidente che se questi sono i presupposti per la nascita del nostro partito, non troverò in LeU la sinistra che ho sempre cercato. Voglio illudermi nel credere che con meno fretta non saremmo caduti in errori così vergognosi, ma credo con altrettanta convinzione che non ci faccia bene neanche fare della fretta il nostro unico alibi.
Non ci vuole un indovino per prevedere che se il partito nascerà velocemente, come auspicano alcuni illustri esponenti, e quindi con la stessa fretta con cui è nata la lista, andremo a sbattere probabilmente ancora più forte. Per cui, scusate se mi permetto, ma non se ne può più di sentire “acceleriamo verso l’unità”. Siamo in evidente emergenza, mettiamo le quattro frecce, fermiamoci e diamoci il modo e gli strumenti per essere la sinistra che vorremmo.
Chiudo questo mio intervento con un dubbio che deriva dai metodi che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi. Un dubbio che mi scoraggia non poco e mi porta a chiedermi: troveranno mai ascolto le parole di un tesserato di Possible in LeU? E cito Pippo Civati quando dice: “uniti sì, ma non servi”.