Ci presentiamo, siamo gli studenti dell’Unione degli Universitari dell’Università per Stranieri di Perugia.
In questi anni ci siamo spesi tantissimo per il nostro Ateneo, organizzando iniziative sociali e culturali, portando avanti le istanze dei nostri colleghi, facendo associazionismo e politica nell’accezione più alta del termine. Per citare alcune di queste iniziative potremmo parlarvi dei pranzi sociali interculturali, in cui studenti e professori erano soliti portare piatti tipici della loro terra, condividendo cibo e cultura.
Potremmo parlarvi del bando attività culturali, di #auleaperte, del tutoraggio linguistico.
Potremmo e vorremmo parlarvi di tante cose positive che abbiamo fatto e che abbiamo ancora voglia di fare, con e per il nostro Ateneo, ma purtroppo, da qualche mese, siamo alla ribalta nazionale per qualcosa che offusca il nostro lavoro, e che è completamente in antitesi rispetto ai valori nei quali crediamo da sempre e per i quali lottiamo.
Infatti, da cinque mesi la nostra Università è conosciuta in tutto il mondo per essere quella in cui il calciatore Luis Suárez ha conseguito un certificato linguistico, sostenendo un esame farsa, per ottenere la cittadinanza italiana.
Fin dal principio di questa brutta storia, abbiamo voluto chiarire che il caso Suárez, benché mediaticamente più rumoroso, per noi era in realtà solo la punta dell’iceberg, e che altre questioni forse più importanti continuavano a restare nell’ombra.
Se fossimo un paese serio, dovremmo interrogarci sul perché diamo per scontato che un calciatore possa acquisire la cittadinanza pur non disponendo di uno dei requisiti fondamentali per ottenerla, mentre un ragazzo nato e cresciuto in questo paese debba fare i salti mortali per ottenerla.
Se fossimo un paese serio, dovremmo chiederci perché il sistema di reclutamento nelle università non è quasi mai di natura virtuosa, ma quasi sempre viziosa e viziata da logiche di scambio che nulla hanno a che vedere con il merito (la nostra Università è coinvolta anche in vicende di questo tipo, sulle quali la magistratura sta provando a fare chiarezza).
Se fossimo un paese serio, dovremmo chiederci una volta per tutte se ha senso trasformare gli atenei in aziende a gestione statale: un ibrido che assomma in sé tutto ciò che c’è di negativo nel pubblico e nel privato.
Ecco, all’indomani dello scoppio del caso, speravamo che da quel pasticciaccio brutto nascesse un dibattito serio, che coinvolgesse, poi, tutto il resto del paese. Invece ci siamo dovuti sorbire un cinepanettone fatto di personaggi discutibili e calciatori che non spiccicano una parola di italiano, con l’amara sensazione che nulla sarebbe cambiato. A nulla è valso il nostro impegno per cercare di far capire che la situazione era molto più grave di quanto si potesse pensare, a nulla sono valse le lettere in cui chiedevamo rispetto per l’unica parte lesa di questa storia: gli studenti.
Qualche giorno fa, in un estremo tentativo di ristabilire un minimo di trasparenza e legalità, abbiamo chiesto al Ministro Manfredi, che si apprestava ad incontrare la dimissionaria prorettrice del nostro Ateneo, di inviare un commissario ministeriale per gestire questa delicata fase di transizione, e ci siamo inoltre resi disponibili per un incontro nel quale potessimo esprimere il nostro punto di vista. Purtroppo, per la seconda volta, siamo stati ignorati, a dimostrazione che gli studenti interessano a politici e istituzioni solo nei programmi elettorali, ma poi, quando si tratta di parlare di cose da “adulti”, è meglio che i ragazzi non si immischino.
Uno dei danni più gravi di questa vicenda e della condotta di docenti, amministrativi, enti locali e, infine, della politica nazionale e del ministro, è proprio quello di aver provato a distruggere i nostri sogni e le nostre speranze, tradendo la fiducia che è alla base del rapporto tra Stato e cittadino.
A volte, quando parliamo con i nostri colleghi, ci sentiamo rispondere: “Che sarà mai, succede ovunque!”. Questa frase pesa come un macigno, e dovrebbe rappresentare una condanna senza appello per il mondo dell’università, per la politica, per i media, per tutta la nazione. Un popolo rassegnato alla corruzione e al malaffare è un popolo senza futuro.
Non ci rassegniamo, continueremo ad operare nelle istituzioni e nella società, negli Organi di Ateneo e nelle scuole, nei sindacati e nelle fabbriche. Potete rallentarci le carriere, potete toglierci un dottorato, potete renderci la vita difficile, ma non ci toglierete la voglia di sognare e lottare per un mondo più giusto, in cui un calciatore milionario abbia gli stessi diritti e doveri di una ragazza disoccupata, in cui un ricercatore venga scelto in base alle sue competenze e non in base a chi conosce, in cui un’università non sia un’azienda che deve produrre utili economici ma un’istituzione che deve produrre utili sociali.
Caro Ministro, cara Rettrice, caro Direttore Generale, cari professori, cari politicanti, non ci avrete mai come volete voi.