Gli anacronistici e costosissimi privilegi fiscali di cui godono le emanazioni commerciali della chiesa cattolica (per esempio, le cosiddette case per ferie che sono a tutti gli effetti strutture alberghiere) rappresentano non solo uno sfregio ad uno dei principi fondamentali della repubblica, la laicità, ma una distorsione e un ostacolo all’eguaglianza di cittadini e imprese davanti alla legge e, in particolare, al fisco.
La nostra non è una sorta di crociata all’incontrario ma un punto politico dirimente: non possono esistere imprese alberghiere più uguali delle altre, soggette a regimi fiscali di favore su IMU, IRES ed altri tributi solo perché formalmente intestati a enti ecclesiastici, se di fatto esse operano nel mercato della ricettività facendo concorrenza sleale alle imprese non ecclesiastiche.
Possibile, fin dalla sua nascita, ha elaborato proposte concrete e depositato precisi disegni di legge ed emendamenti volti a rimuovere gli ostacoli (fedeli all’imperativo di cui all’art. 3 della Costituzione) che impediscono l’eguaglianza e la concorrenza degli operatori economici, proponendo la cancellazione di privilegi e regimi di favore ingiusti e discriminatori. Sotto il regno breve (ma insopportabilmente lungo) e resistibile di Sua Serenità il Marchese Matteo da Rignano, nessuna delle nostre ragionevolissime istanze e proposte è stata ascoltata. E pensare che la loro approvazione avrebbe prodotto immediati effetti positivi a beneficio di tutti.
Facciamo un esempio concreto, per capirci. Emendamento laico alla legge di stabilità 2016 sulla destinazione dell’8 per mille cd inoptato (quello cioè su cui i cittadini non abbiano fatto una scelta espressa di destinazione a chiesa cattolica, chiesa valdese o altri soggetti) al fondo nazionale per la protezione civile e a misure di contrasto della povertà: favorevoli 64, contrari 305, e un’incredibile (mica tanto, se ci riflettiamo) astensione del Movimento 5 Stelle.
Si trattava semplicemente di introdurre il principio della responsabilità fiscale della chiesa cattolica (massima beneficiaria dell’inoptato: io non scelgo a chi destinare il mio 8 per mille e lo Stato regala il mio 8 per mille a chi è beneficiario delle scelte espresse dai contribuenti e in misura proporzionale), invocato dallo stesso Papa Francesco.
Si trattava di ripristinare il principio liberale, di matrice einaudiana, “conoscere per decidere”, obbligando Stato italiano e chiesa cattolica a convocare la Commissione paritetica prevista dal concordato per valutare l’adeguatezza dei flussi finanziari verso le attività ecclesiastiche e rispettando la volontà e la libertà dei contribuenti. Nulla di fatto.
Facciamo un altro esempio concreto che ci riporta alla più fresca attualità. Con un altro emendamento proponemmo che le esenzioni di imposta IMU e TASI previste per le attività ecclesiali fossero limitate alle attività religiose, assoggettando quindi al regime ordinario di imposizione fiscale le attività economiche e commerciali (strutture ricettive, ospedaliere, didattiche ecc.). Di nuovo nulla di fatto. Nonostante Papa Francesco il 10 settembre 2015, in un’intervista a una radio portoghese, avesse affermato che “Un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte”. Amen.
Dove non è arrivato il governo Renzi, rimasto tronfiamente indifferente alle istanze di laicità e di equità di Possibile (e dello stesso Papa), oggi finalmente arriva la Corte di Cassazione con una sentenza che premia la laicità, l’eguaglianza e l’equità. E che incoraggia la nostra mite ostinazione. Dice la Suprema Corte che gli alberghi e i pensionati gestiti da enti religiosi, se vogliono godere di tassazione agevolata, devono offrire prezzi “significativamente ridotti” rispetto a quelli di mercato altrimenti alterano il “regime di libera concorrenza” e usufruiscono di un beneficio che non spetta loro e che si tramuta in un “aiuto di Stato” a svantaggio degli imprenditori privati del settore alberghiero.
La Cassazione dà ragione all’Agenzia delle Entrate che aveva negato l’IRES ridotta per l’istituto delle Rosine di Torino, grande pensionato vicino al polo universitario. Ad avviso della Suprema Corte — riferisce l’ANSA ‑la commissione tributaria del Piemonte nel 2015 aveva sbagliato ad annullare l’avviso di accertamento, per la maggiore imposta Ires inviato dal fisco all’Istituto delle Rosine, sulla base della sola considerazione che si sarebbe trattato di “una struttura ricettiva che accoglie esclusivamente studentesse lavoratrici per brevi periodi di tempo con evidenti obiettivi sociali”. L’Agenzia delle Entrate ha fatto ricorso in Cassazione sottolineando che la tassazione ridotta non può prescindere da una valutazione e ricognizione dell’attività “concretamente svolta” dalle tante strutture ricettive gestite direttamente da enti religiose o da cooperative non profit. “Analogamente a quanto affermato in materia di Ici — sottolinea la Cassazione — lo svolgimento di attività di assistenza o di altre attività equiparate, senza le modalità di una attività commerciale, costituisce il requisito oggettivo necessario ai fini dell’agevolazione e va accertato in concreto, con criteri di rigorosità, e, dunque, verificando le caratteristiche della ‘clientelà ospitata, della durata dell’apertura della struttura e, soprattutto, dell’importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai ‘prezzi di mercatò, onde evitare una alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato”. Per i supremi giudici, hanno colto nel segno le obiezioni avanzate dall’Agenzia delle Entrate , per cui “il pensionato costituiva di fatto una attività alberghiera, aperta al pubblico, e che avrebbe potuto essere gestita da qualunque imprenditore privato, e che, avuto riguardo ai redditi da fabbricati, gli immobili risultavano locati a privati secondo una logica di mercato”.
Questa sentenza ci dice almeno due cose. La prima è che aveva ragione chi, come noi, aveva indicato la strada — tutta repubblicana, laica e costituzionale — del doveroso superamento degli odiosi privilegi fiscali riservati alle attività economiche (e quindi non religiose) della chiesa cattolica. La seconda è che i benefici illegittimi costituiscono un fattore di diseguaglianza e di concorrenza sleale, nonché un enorme danno erariale perché sottraggono ingenti risorse alle casse pubbliche, oggi particolarmente esangui.
Ecco perché quando diciamo che dal superamento del meccanismo distorto dell’8 per mille inoptato possono derivare risorse pari ad almeno 1 miliardo di euro all’anno e chissà quante risorse si potrebbero recuperare dalla corretta imposizione fiscale delle attività non religiose della chiesa, diciamo una cosa molto seria, indichiamo una copertura di bilancio certa e liquida, togliamo alibi ai politicanti fanfaroni e distratti che di fronte al dramma della povertà dilagante si girano dall’altra parte.
Possibile continuerà a fare denunce e critiche politiche — mai disgiunte da proposte ragionevoli, rigorose e concrete — e prima o poi, come la silenziosa goccia che scava la superficie della pietra, lascerà una vistosa traccia di laicità nelle istituzioni e nel paese.
Sempre nel segno dell’uguale (=) e della Costituzione.