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Ho 24 anni ma, come tantissime altre persone della mia generazione (ed altre più in là con gli anni), non ho alcuna intenzione di rinunciare all’uovo di Pasqua Kinder. Sono profondamente convinta che il cioccolato dell’uovo di Pasqua sia più buono di quello degli ovetti che si trovano tutto l’anno. Ne sono così tanto appassionata che sono già due anni che, il giorno dopo Pasquetta, giro per i vari supermercati per fare scorta di uova Kinder a metà prezzo.
Quest’anno, però, il raid nei supermercati non lo potrò fare.
A gennaio ho iniziato un percorso low-waste: cerco di ridurre i rifiuti il più possibile, comprando prodotti sfusi e portando i miei contenitori e sacchetti ogni volta che acquisto qualcosa. Non solo cerco di ridurre il packaging in generale, ma soprattutto voglio evitare, come la peste, la plastica. Nonostante la differenziamo, moltissima plastica finisce comunque nell’ecosistema. Spesso gli animali la scambiano per cibo, ed entra così nella nostra catena alimentare (sì, significa che finiamo per mangiarcela). Le foto di animali uccisi o torturati dalla plastica le abbiamo viste tutte e tutti. Inoltre, la plastica ha il magico potere di durare per sempre. Quindi se finisce nelle discariche e non in innovativi sistemi di riciclaggio, rimarrà lì per sempre a rilasciare sostanze nocive nelterreno e nell’aria. Insomma, sarebbe meglio non producessimo più plastica.
Proprio per questo, aprire l’uovo Kinder non mi ha recato lo stesso piacere di una volta: involucro di plastica; spaghetto e scotch di plastica; piedistallo di plastica; contenitore per sorpresa di plastica; sorpresa di plastica. Per cosa? Solo per mangiarmi un po’ di cioccolato.
Vengo da una famiglia in cui si ritiene che il boicottaggio sia una valida forma di protesta e che lo ha spesso messo in pratica per i più svariati motivi, quindi sono abituata a rinunciare a qualcosa che mi piace in nome di un interesse superiore. Gradirei però non dovermi privare della gioia dell’uovo Kinder né dover boicottare un’azienda a cui la mia famiglia è legata affettivamente.
Le nipoti del fondatore Pietro Ferrero hanno frequentato lo stesso collegio di mia nonna, ad Asti. Quando lo zio andava a trovare le sue nipoti, riforniva di cioccolata il collegio in modo che ce ne fosse per tutte le bambine. Sono certa che questa sensibilità sia stata passata ai propri eredi e che l’attenzione per i più deboli (all’epoca erano le orfanelle, oggi l’ambiente) sia stata tramandata.
Sto scrivendo questa lettera perché vorrei che venisse letta da chi può fare qualcosa. Sto scrivendo questa lettera perché vorrei lanciare una sfida alla Ferrero: riuscire, in un anno, a produrre uova di Pasqua prive di plastica. Punti bonus se riescono a rimuoverla anche dagli Shocko-bons, Ferrero Rocher, Pocket Coffee, Raffaello, Kinder Bueno, Duplo, Tronky, Tic-tac, Estathé…
Le alternative alla plastica oggi sono tante e svariate: l’involucro esterno può essere fatto di stoffa, di carta, dicarta-stoffa. Il piedistallo e il contenitore per la sorpresa possono essere fatti in materiali biodegradabili. Lo spaghetto può essere fatto di lana, di bambù o di altre fibre vegetali e lo scotch può essere sostituito con quello di carta.
Il nostro pianeta è sotto attacco. Noi semplici consumatori e consumatrici possiamo fare scelte consapevoli e adottare stili di vita più ecosostenibili, ma da soli non riusciremo mai a salvare la Terra. È compito delle aziende seguire il nostro stesso percorso e risolvere il problema alla radice. È necessario rendere non solo la produzione, ma anche i prodotti compatibili con le esigenze della Terra.
Il guanto della sfida è stato lanciato. Lo raccoglierete?
Elisabetta Felici
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