Una storia italiana

casson faldoni All’im­boc­co del­lo stra­do­ne dove ini­zia vera­men­te l’a­bi­ta­to di Mar­ghe­ra, per chi arri­va dal­la stra­da Romea, può capi­ta­re ‑vol­gen­do lo sguar­do sul­la destra, pri­ma di un pic­co­lo san­tua­rio- di imbat­ter­si in una scrit­ta ormai in via di sbia­di­men­to, minac­cia­ta dal tem­po e dal­le tag dei wri­ter. Reci­ta “158 inno­cen­ti ammaz­za­ti due vol­te”, e si rife­ri­sce agli ope­rai del Petrol­chi­mi­co scom­par­si a segui­to di tumo­ri con­trat­ti nel luo­go di lavo­ro, sen­za che una sen­ten­za abbia accer­ta­to la respon­sa­bi­li­tà dei ver­ti­ci del­l’a­zien­da. Cor­re­va l’i­ni­zio del nuo­vo seco­lo, e il pub­bli­co mini­ste­ro che istruì la cau­sa si chia­ma­va Feli­ce Cas­son. Pochi anni dopo, nel 2005, al magi­stra­to i Demo­cra­ti­ci di Sini­stra chie­se­ro la dispo­ni­bi­li­tà a dismet­te­re la toga e a diven­ta­re can­di­da­to sin­da­co a Vene­zia, sostan­zial­men­te un feu­do pro­gres­si­sta sin dal­la pri­ma ele­zio­ne diret­ta. Un ruo­lo di gran­de respon­sa­bi­li­tà e altret­tan­to appa­ga­men­to, deci­de­re i desti­ni di una del­le cit­tà più bel­le del mon­do, con visio­ne lun­ga sul futu­ro: Cas­son gode­va del con­sen­so pub­bli­co, del­l’ap­prez­za­men­to tra i cit­ta­di­ni di lagu­na e ter­ra­fer­ma per la schie­na drit­ta dimo­stra­ta al lavo­ro. Insom­ma era sta­to indi­vi­dua­to come la per­so­na giu­sta per con­ti­nua­re e miglio­ra­re l’at­ti­vi­tà del­l’am­mi­ni­stra­zio­ne Costa, attra­ver­so un cam­bio del­la guar­dia nel­l’al­lean­za di centrosinistra.

casson pm Ma la Mar­ghe­ri­ta loca­le, che espri­me­va il pri­mo cit­ta­di­no da oltre die­ci anni, non vole­va sen­ti­re ragio­ni. Ten­tò pri­ma di avan­za­re l’av­vo­ca­to mestri­no Ales­sio Via­nel­lo, e poi ‑spin­ta da una serie di con­si­de­ra­zio­ni nega­ti­ve riguar­do Cas­son- in extre­mis can­di­dò il doge Mas­si­mo Cac­cia­ri, uno che in cen­tro sto­ri­co era ritrat­to per­si­no negli sten­cil sui muri. Fran­ce­sco Rutel­li, allo­ra mas­si­mo espo­nen­te del­la for­za poli­ti­ca, ebbe modo di dire che l’ex pm era «irri­ce­vi­bi­le», e così il bar­bu­to filo­so­fo deci­se che fos­se il momen­to di «sal­va­re l’o­no­re» dei peta­li bian­chi. Subi­to que­sta deci­sio­ne pro­vo­cò scon­quas­si nel­l’U­li­vo, che sta­va appre­stan­do­si a diven­ta­re L’U­nio­ne e a cer­ca­re con Roma­no Pro­di di ripor­tar­si al gover­no del Pae­se: non solo que­stio­ni poli­ti­ci­sti­che, o un affla­to uni­ta­rio (Cas­son è “divi­si­vo”, come Pro­di, si sareb­be det­to oggi), indus­se­ro buo­na par­te dei DS loca­li a stor­ce­re il naso davan­ti alla deci­sio­ne fede­ra­le, e per moti­vi tut­ti poli­ti­ci. L’op­por­tu­ni­tà che un ex magi­stra­to debut­tas­se in poli­ti­ca con tan­to cla­mo­re, si dis­se, ma soprat­tut­to le sue riso­lu­zio­ni in tema di ambien­te e indu­stria: se da un lato con­qui­sta­va il con­sen­so di urba­ni­sti come Edoar­do Sal­za­no, dal­l’al­tro la bat­ta­glia del Petrol­kil­ler met­te­va in guar­dia il sin­da­ca­to e l’a­la del par­ti­to sto­ri­ca­men­te lega­to ad esso, timo­ro­si di un’e­sca­la­tion eco­lo­gi­sta che por­tas­se a met­te­re in salu­te il ter­ri­to­rio di Mar­ghe­ra e din­tor­ni, con paven­ta­te rica­du­te sul­l’oc­cu­pa­zio­ne. Più o meno i temi all’or­di­ne del gior­no oggi, per Ilva, Piom­bi­no e mil­le altre real­tà dove per anni i pro­gres­si­sti poco si era­no cura­ti degli effet­ti paral­le­li, del­le ester­na­li­tà negative.

casson cacciari Le pri­me defe­zio­ni ven­ne­ro da quel­la che pur­trop­po usia­mo chia­ma­re “sini­stra che odia la sini­stra”, con l’an­nun­cio del voto disgiun­to: DS per i con­si­glie­ri, Cac­cia­ri come sin­da­co. A chi da sem­pre è abi­tua­to a trat­ta­re anche con gli inte­res­si meno difen­di­bi­li, Cas­son non pia­ce­va per­ché era intran­si­gen­te, per­ché ave­va una paro­la sola per ogni situa­zio­ne, dice­va sì/sì e no/no, non fos­se un par­lar bibli­co. Al can­di­da­to veni­va fat­to pesa­re anche il soste­gno, quel­lo sì a for­ma di zavor­ra, del sin­da­co uscen­te Pao­lo Costa, uno che non è mai dav­ve­ro entra­to nel cuo­re dei vene­zia­ni: ma cio­no­no­stan­te ‑soste­nu­to da un arco di for­ze del­la sini­stra, esclu­sa la Mar­ghe­ri­ta iden­ti­ta­ria- Cas­son fu capa­ce di pas­sa­re in van­tag­gio al pri­mo tur­no col 37.7% dei con­sen­si. Alle sue spal­le, e quin­di in bal­lot­tag­gio, non un espo­nen­te del­la destra cit­ta­di­na, fran­tu­ma­ta in alme­no tre rivo­li, ma pro­prio l’i­co­na Cac­cia­ri, capa­ce col suo solo peso (23%) di tra­sci­na­re la Mar­ghe­ri­ta e l’U­deur ‑te la ricor­di, l’U­deur?- a un risul­ta­to sto­ri­co. Per quin­di­ci gior­ni la lagu­na avreb­be vis­su­to del­lo scon­tro fra due impo­sta­zio­ni diver­se del­l’es­se­re di sini­stra in cit­tà e nel Pae­se, una comu­ni­ta­ria e una cari­sma­ti­ca (dice nien­te, oggi?), una lega­li­ta­ria e una poli­ti­cis­si­ma, una esor­dien­te e una da sem­pre pre­sen­te dove le cose contano.

Sfiducia-Alfano-Felice-Casson La cam­pa­gna fu sen­za esclu­sio­ne di col­pi, spes­so dege­ne­ran­do in col­pi bas­si fra­tri­ci­di tra le rispet­ti­ve con­sti­tuen­cy, con toni qua­si da guer­ra civi­le, se non san­ta: men­tre i DS si dila­nia­va­no, fino ad arri­va­re ai pro­bi­vi­ri, Cac­cia­ri con­qui­sta­va il con­sen­so di elet­ti ed elet­to­ri di Allean­za Nazio­na­le, Lega e For­za Ita­lia, con la pro­mes­sa di chiu­de­re i cen­tri socia­li (il vero pro­ble­ma del­la cit­tà, evi­den­te­men­te…) e di sal­va­re lo sta­tus quo dal­la “minac­cia” di un giu­di­ce impic­cio­ne. Car­lo Gio­va­nar­di anno­ve­ra­va se stes­so e il vec­chio pro­fes­so­re (cosa vai cer­can­do, in quel por­to­ne) dal­la stes­sa, par­te, quel­la dei mode­ra­ti; Rena­to Bru­net­ta imma­gi­na­va Vene­zia come labo­ra­to­rio poli­ti­co; Gian­ni Ale­man­no invi­ta­va ad appog­gia­re l’al­fie­re di una sini­stra non ideo­lo­gi­ca. Aiu­to più o meno espli­ci­to del­le destre alla can­di­da­tu­ra che tut­to rap­pre­sen­ta­va meno la sini­stra per­ce­pi­ta, que­st’ul­ti­ma che si spac­ca e subi­sce la lusin­ga: carat­te­ri che si ritro­va­no spes­so, nel­la vicen­da poli­ti­ca di que­sti anni, fino ai 101. Va a fini­re che Cac­cia­ri vin­ce per mil­le voti, mez­zo pun­to per­cen­tua­le, la Mar­ghe­ri­ta por­ta in con­si­glio comu­na­le una ple­to­ra di con­si­glie­ri elet­ti con pochis­si­me pre­fe­ren­ze, la coa­li­zio­ne si ricom­po­ne su altre basi ege­mo­ni­che, a Cas­son vie­ne offer­ta la can­di­da­tu­ra al Par­la­men­to nel 2006. Ah, per la cro­na­ca: dei due cen­tri socia­li nel ter­ri­to­rio comu­na­le, quel­lo di ter­ra­fer­ma è anco­ra vivo e vege­to, quel­lo di lagu­na ha solo smes­so di far musi­ca per un po’. Dove­va­no esse­re il pro­ble­ma, formalmente.

Felice Casson Inve­ce i guai sul cam­po era­no ‑e sono a tut­t’og­gi- la pro­gres­si­va cemen­ti­fi­ca­zio­ne del­l’­hin­ter­land, le solu­zio­ni pastic­cia­te alla cri­si di Por­to Mar­ghe­ra, i pro­get­ti farao­ni­ci come il Mose e il “Qua­dran­te” di Tes­sè­ra: non si pote­va eleg­ge­re una toga, dice­va­no i detrat­to­ri, per­ché «cono­sce i segre­ti di tut­ti». Que­gli stes­si segre­ti che stan­no venen­do a gal­la, con inda­gi­ni a ruo­ta, e che ancor oggi vedo­no l’a­rea ai mar­gi­ni del­la lagu­na nè boni­fi­ca­ta nè in ripre­sa occu­pa­zio­na­le. E sen­za anco­ra giu­sti­zia per i mor­ti di fab­bri­ca. Sono temi che dovreb­be­ro divi­de­re, sì, ma la sini­stra dal­la destra: la pri­ma si deve fon­da­re su valo­ri non nego­zia­bi­li, decli­na­ti in iden­ti­tà plu­ra­le ma soli­da e sta­bi­le, e in una linea di gover­no con­tin­gen­te nel bre­ve e medio ter­mi­ne. A que­sto dove­va ser­vi­re il PD, nato solo due anni dopo i fat­ti sopra nar­ra­ti: con l’av­ven­to del nuo­vo par­ti­to (for­se non anco­ra un “par­ti­to nuo­vo”), Mas­si­mo Cac­cia­ri se ne è dal can­to suo pro­gres­si­va­men­te allon­ta­na­to, dan­do vita a for­ma­zio­ni paral­le­le di stam­po nor­di­sta e tra­sver­sa­le, fino a uno stra­pun­ti­no fis­so in col­le­ga­men­to con le reti tele­vi­si­ve, da dove pon­ti­fi­ca qua­si ogni gior­no con­tro la sini­stra e il cen­tro­si­ni­stra. Feli­ce Cas­son, inve­ce, in Par­la­men­to mili­ta fin dal­l’i­ni­zio tra le file demo­cra­ti­che, ovve­ro del­l’u­nio­ne di quel­le sto­rie che anche nel suo nome si era­no divi­se: Open­Po­lis dice che il sena­to­re è uno dei più assi­dui per pre­sen­ze e atti­vi­tà, le cro­na­che lo con­fer­ma­no impe­gna­to nel­le que­stio­ni cal­de, dagli F35 alla deca­den­za di Ber­lu­sco­ni, con posi­zio­ni che sem­pre più sono quel­le sen­ti­te dal­la base elet­to­ra­le cui fa chie­sto il con­sen­so. Valu­ti il let­to­re, anche quel­lo non ter­ri­to­rial­men­te coin­vol­to ‑poi­ché l’e­ti­ca è que­stio­ne nazio­na­le- qua­le tra i due poli­ti­ci abbia reso un buon ser­vi­zio al comu­ne atti­vi­smo, alle idee, all’idem sen­ti­re di un vasto stra­to del­la popo­la­zio­ne ita­lia­na, com­por­tan­do­si con coe­ren­za e sen­za mai dare nem­me­no l’im­pres­sio­ne di pre­fe­ri­re la sta­si di una pol­tro­na alle bat­ta­glie a viso aperto.

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Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.