[vc_row][vc_column][vc_column_text]Non è semplice stimare quanti e chi siano, eppure sappiamo di per certo che ci sono migliaia di persone ancora bloccate sulla rotta balcanica. Quella che qualcuno si sognava di aver “chiuso” delegando i respingimenti alla Turchia, dimenticandosi che fermare persone in fuga, che hanno già percorso migliaia di chilometri a piedi, su mezzi di fortuna, pagando passatori e rischiando la vita. Abbiamo raccontato del confine tra Bosnia e Croazia esattamente un mese fa, quando ormai dava segnali di “stabilizzazione” la nuova rotta che passa, appunto, per la Bosnia.
A un mese di distanza la situazione sembra essere — se possibile — addirittura peggiorata. Are you Syrious? (AYS), network indipendente di volontari e giornalisti che da anni monitora la rotta balcanica, ha raccolto numerose testimonianze di persone che sono state respinte dalla polizia croata e che, dalla stessa, hanno subito violenze. «Dicono che la polizia croata ha rubato tutti i loro soldi e distrutto tutti i documenti compresi, per esempio, anche la documentazione medica». Mostrano i segni delle violenze. Le denunce che da mesi AYS sono state «fatte cadere dal ministero dell’interno croato senza contro-argomentare, ma accusando solamente le organizzazione di volontari di essere dei passatori e di mentire». «Dopo essere stati bloccati dalla polizia croata — prosegue AYS -, le persone sono solitamente fatte salire su furgoni senza finestre, a temperature elevate, e riportate in territorio bosniaco», dove vengono abbandonate a loro stesse.
Lo stesso trattamento viene riservato a donne, spesso in presenza dei propri figli. Lo racconta sempre su AYS una volontaria di No Name Kitchen: «nelle ultime due settimane abbiamo rilevato 17 casi di respingimenti violenti di donne da Slovenia e Croazia verso la Bosnia. Circa la metà di questi coinvolgevano minori». Una di queste donne ha raccontato:
Volevo solo andare in Slovenia, ma la polizia croata mi ha preso per strada. La polizia ha preso tutti i miei soldi, 500 euro, e se li è messi in tasca. Hanno preso tutti i nostri cellulari, hanno preso il portatile di mio figlio, mi hanno schiaffeggiato sulla bocca e dappertutto. Potevo sentire l’odore di alcol. Quando ci hanno deportato in Bosnia si sono comportati come animali. Ci colpivano e ridevano alle nostre spalle. Avevano sia manganelli metallici che elettronici. Un poliziotto mi ha colpito e sono caduta a terra, e dopo che mi aveva colpito con un bastone, e dopo ogni colpo, rideva: “ah, ah, ah, ah!”. Dopo mi hanno schiaffeggiato sulla bocca. Hanno anche colpito mio figlio, l’hanno schiaffeggiato in faccia… Ho dovuto lasciare l’Iran perché mio marito mi picchiava. Se torno, mio marito mi uccide. Il governo nel mio paese è un grosso problema. Ma non avrebbero mai picchiato una donna.
Dei volontari italiani hanno inoltre raccontato che «tre persone iraniane che abbiamo conosciuto nei nostri primi viaggi a Bihac hanno tentato il ‘game’ (cioè il tentativo di passare il confine, n.d.a.) per l’ennesima volta» e anche questa volta gli è andata. Il trattamento ricevuto questa volta dalla polizia croata — denunciano — «è stato terribile: oltre al solito furto di tutto il danaro e cellulari (o rottura se vecchi), dopo averli picchiati a sangue li hanno gettati nel fiume. A Bihac hanno tentato di farsi portare in ospedale, ma su più di mille rifugiati l’assistenza è tale che non sono ancora stati curati. Uno di loro non riesce nenache a muoversi, forse ha fratture».
Sono storie di ordinaria e quotidiana violenza che si verificano ormai da anni ai confini dell’Unione europea, quell’Unione che avrebbe dovuto essere terra di pace e di assoluta tutela dei diritti umani.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]