[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1502178206836{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]
Di fronte all’onda melmosa, un giornale ha una sola possibilità: restituire ai fatti e alle parole il loro significato e cercare di ripulire il dibattito dalle scorie e dai veleni.
Con queste parole si chiude l’editoriale odierno di Repubblica a firma del proprio direttore, Mario Calabresi. Sono le parole con le quali annuncia un lavoro di indagine e di fact-checking che il quotidiano da lui diretto porterà avanti nei prossimi giorni e che riguarderà il mondo del volontariato.
Calabresi, però, apre con uno sguardo più ampio su tutte le distorsioni comunicative e cognitive che caratterizzano il dibattito sull’immigrazione e sugli stranieri. «Si sono persi di vista numeri e contesti», scrive. «Nessuno ha più il coraggio di far notare che 100mila persone che arrivano dalle coste africane sono certo tantissime e destano allarme […] ma sono pur sempre quanto i tifosi di due partite della Roma o del Milan». Così come «gli italiani sono convinti che ormai un quinto della popolazione sia di religione islamica, quando lo è meno di un trentesimo». Lo stesso discorso vale per il timido ius soli approvato dalla Camera, che nulla c’entra con gli sbarchi, ma riguarda i diritti di centinaia di migliaia di persone che hanno scelto l’Italia come patria e come paese in cui vivere: una scelta per certi versi più consapevole di chi italiano lo è “per sangue”. Calabresi passa, infine, al tema del momento: le ONG, «colpevoli di non sottomettersi al nuovo politicamente corretto, che è l’esatto ribaltamento di quello vecchio e proclama a gran voce che ci siamo rotti le scatole dei bisogni e delle sofferenze degli altri».
Sono sei milioni gli italiani che si occupano di fare del bene attraverso associazioni. Repubblica di oggi ne fa uno spaccato, partendo da Caritas e Save the Children. E sempre Repubblica di oggi dedica un ampio articolo alla sorte che tocca ai migranti respinti in Libia dalla guardia costiera libica cui stiamo fornendo supporto e mezzi.
Nemmeno noi ci rassegniamo: non l’abbiamo mai fatto. Continueremo a raccontare i fatti, a spiegare le norme e a utilizzare i dati, a stare dalla parte di chi non ha paura di mostrare la propria umanità, scambiata per debolezza o per collusione in questi tempi neri in cui avanza l’onda melmosa. Ogni argine si è rotto. Lo sforzo di ricostruzione è enorme, ma è l’unico sforzo che abbia un senso, se non vogliamo vivere in un mondo che incrimina e discrimina i più deboli, a prescindere dal colore della loro pelle. Se ci sarà anche Repubblica, ci sentiremo meno soli.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]