Voteremmo la mozione di sfiducia nei confronti della ministra Boschi anche se sulla mozione ci fosse scritto soltanto: mozione di sfiducia nei confronti della ministra Boschi. Le ragioni sono costituzionali, diciamo così. Quindi il nostro voto sarà sì, per ragioni politiche generali e anche per ragioni riferite alla questione sollevata.
Certo, la mozione del M5s è discutibile nel merito di alcuni passaggi e anche nel metodo. Il M5s è l’unico gruppo di opposizione a poterla presentare, perché servono 63 deputati, ma avrebbe fatto meglio a presentarla prima al Senato, dove i numeri sono diversi. Si dice che siano ragioni mediatiche, perché al Senato si voterebbe a gennaio. Secondo noi si sbaglia comunque, perché è certo che la mozione verrà bocciata. Non a caso la ministra, una volta appreso che la mozione veniva presentata alla Camera ha subito detto: “vedremo chi ha i numeri”. E i numeri li avrà il governo, di cui la ministra in questione è il ministro più in vista, più vicino al presidente del Consiglio. Ma questo conferma che il conflitto di interessi avrebbe bisogno di ben altri strumenti, di un’altra sede — non politica — dove essere giudicato. Invece, la legge Frattini — giudicata inefficace dal Consiglio d’Europa sin dal 2005 ma mai modificata dal nostro Parlamento — rimette tutto alla buona volontà e, tutt’al più, appunto a una valutazione politica delle Camere. Speriamo, quantomeno, che il dibattito aiuti la trasparenza, quella che così tanto è mancata e continua a mancare.
Ciò detto i punti per i quali la questione posta non è irrilevante, sono i seguenti, anche alla luce della proposta di legge presentata da Civati e altri:
- gli interessi dei parenti di primo grado (i genitori) sono da considerare come interessi del titolare della carica pubblica. E questo lo dicono perfino le leggi più timide come quella oggi vigente in Italia;
- il padre della ministra è stato per diversi anni nel consiglio di amministrazione della banca e per quasi un anno ne è stato anche il numero due;
- quindi c’è un forte legame tra quella banca e il padre e quindi (vedi il punto 1) la figlia;
- non sappiamo quali siano e quali siano state le partecipazioni del padre della ministra (e magari degli altri membri della famiglia) nella banca, anche perché nonostante sia la legge sul conflitto di interessi che il più recente decreto legislativo 33 del 2013 prevedano obblighi di dichiarazione da parte dei parenti più stretti, sul sito istituzionale del dipartimento delle riforme si legge che i genitori e la nonna della ministra non hanno dato il consenso alla pubblicazione della dichiarazione patrimoniale e della dichiarazione dei redditi. Certamente una partecipazione rilevante potrebbe rendere ancora più evidente il legame familiare con la banca e quindi ancora più grave il conflitto di interessi;
- se, come abbiamo detto, la legge vigente è del tutto inefficace per espressa dichiarazione del Consiglio d’Europa e della stessa Autorità Antitrust che deve farne applicazione, il Parlamento continua a non modificarla. E questo, nonostante, anche questo governo avesse dichiarato sin dal suo insediamento di voler porre mano a questa riforma e nonostante proprio la ministra in questione avesse dichiarato — nella scorsa primavera — che la legge sul conflitto di interessi sarebbe dovuta andare in aula “entro giugno” (si supponeva, forse un po’ superficialmente, del 2015); mentre la discussione è ancora ben ferma in commissione, dove è stato giusto qualche giorno fa presentato un testo Pd-Forza Italia che non garantisce una separazione degli interessi quando il conflitto di interessi abbia natura patrimoniale;
- pare che — in ossequio alla legge Frattini in vigore — la ministra si sia astenuta dal partecipare al Consiglio dei ministri sia quando è stato deliberato il decreto sulle popolari (gennaio scorso) sia quando è stato deliberato quello salva-banche, alcuni giorni fa. Ma questo conferma che l’astensione dal Consiglio è inefficace. Tanto più quando il ministro ha un certo peso politico e può seguire l’atto anche al di fuori del Consiglio dei ministri (prima e dopo), poco importando se ha materialmente concorso con il proprio voto. Nel caso ciò è tanto più evidente visto che la ministra ha anche la delega per i rapporti con il parlamento e quindi deve seguire il percorso dei diversi atti normativi.
In effetti, non può non notarsi come la ministra in questione non sia un ministro qualsiasi: è, appunto, la ministra ai rapporti con il Parlamento, che si occupa della conversione dei decreti, di qualsiasi decreto e del percorso parlamentare di tutti gli atti del governo, ma soprattutto è la figura del governo che ha il più stretto rapporto fiduciario con il premier, di cui rappresenta un alter ego. Davvero premier e ministra non si sono mai confrontati sulla questione banche popolari? È credibile? E davvero la mozione di sfiducia può essere separata da un giudizio sullo stesso premier?
Alternativa Libera — Possibile