Il sistema di welfare in Italia è in genere “familistico”, nel senso che il suo obiettivo finale è la famiglia, che si assume fornisca gratuitamente servizi ai suoi membri non direttamente toccati dall’intervento pubblico. Da tempo sono stati evidenziati gli effetti negativi di questa impostazione, in particolare sulle opportunità di accesso al mercato del lavoro per donne e giovani. Se a questo si aggiunge l’insufficiente operatività delle Agenzie per l’Impiego, abbiamo la plastica rappresentazione di quanto siamo lontani dagli standard europei in materia di sostegno al reddito e di politiche attive per il lavoro.
In attesa di una revisione complessiva del welfare, non si può più rinviare un intervento che alleggerisca la drammatica situazione del mercato del lavoro: segmentazione, diminuzione dei posti di lavoro, salari d’ingresso al di sotto dei minimi contrattuali, mancanza di tutela per i lavoratori “atipici”.
Stiamo letteralmente affamando intere generazioni, e sono quelle più giovani. Qualcosa si può e si deve fare subito, che non si prospetti tuttavia come l’ennesima misura estemporanea.
Dal punto di vista della spesa, l’introduzione di un reddito minimo garantito, inserito in una opportuna regolazione, comporterebbe probabilmente un risparmio, rispetto alla situazione attuale. Studi recenti collocano questa spesa tra i 7 (Monti-Pellizzari, 2008) e i 10 miliardi di euro (Boeri-Perotti, 2013), facendo riferimento alla platea di famiglie che attualmente accedono ad una qualche forma di assistenza e a parametri di assegnazione ricavati dall’ISEE adottato a livello nazionale.
Tuttavia è già applicato in Italia, e precisamente nella Provincia Autonoma di Trento, uno schema di Reddito di Garanzia su base individuale, che tiene conto della situazione reddituale su base anagrafica. Ovvero: in caso di individui conviventi, si assume una minore incidenza delle spese fisse sul singolo e il contributo va a scalare sul secondo, terzo individuo e così via.
L’individuo assegnatario deve dimostrare di non aver altre forme di reddito e di essere attivamente alla ricerca di occupazione. E qui gioca un ruolo fondamentale l’Agenzia per l’Impiego e l’istituzione locale, che devono diventare veri e propri “mobilitatori sociali”, coinvolgendo tutti gli attori interessati e capaci di sostenere nuova occupazione: imprese, rappresentanze sociali, agenzie di formazione, incluse scuola e università.
Limitando, per questo primo intervento su scala nazionale, la platea degli aventi diritto agli inoccupati e ai disoccupati non titolari di altro sussidio, in base a un sussidio per l’individuo singolo di 400 euro (628 per la coppia, etc.), il fabbisogno sarebbe di circa 2,9 miliardi di euro.
I fondi necessari possono essere reperiti, già dentro la legge finanziaria di previsione per il prossimo anno, in settori della spesa pubblica che, a differenza della sanità, della scuola e del welfare, non sono stati fin qui interessati da tagli significativi.
Ad esempio, la spesa militare italiana (1,7% PIL) è superiore a quella tedesca (1,4% PIL) di 0,3 punti percentuali in termini di prodotto interno lodo. Basterebbe ridurre di due terzi questa differenza (una trentina di F35 in meno?) per coprire il fabbisogno.